Tra il 1655 e il 1686, contro i valdesi si scatenarono ondate di persecuzioni, a cui opposero una caparbia resistenza all’interno dei territori in cui si erano insediati, che ormai andavano oltre quelli originariamente permessi dalla pace di Cavour. La resistenza si configurò come una serie intermittente di guerre civili, con esiti altalenanti per i valdesi. L’ultima persecuzione, quella del 1686, causò la diaspora di migliaia di valdesi verso i paesi protestanti in Svizzera, Germania e Olanda. Le ostilità ripresero nel 1689, quando i valdesi costituito un nuovo esercito sotto la guida del pastore Enrico Arnaud e organizzarono il cosiddetto “Glorioso Rimpatrio”, il ritorno dei valdesi nelle valli. La lotta valdese per la riconquista delle loro valli alla fine risultò tanto determinata ed efficace da convincere Vittorio Amedeo II, il duca di Savoia, a concedergli definitivamente una certa forma di libertà religiosa e a reintegrarli come sudditi all’interno del Ducato di Savoia, in cambio del loro aiuto militare durante la guerra della Grande Alleanza (1689-1698), sia pure continuando a mantenere le valli in una condizione di ghetto. La rivoluzione francese prima e Napoleone Bonaparte poi avrebbero portato infine all’emancipazione completa dei valdesi e degli ebrei in tutto il Regno di Sardegna. Acquistata la piena libertà giuridica nel 1848, durante il regno di Carlo Alberto di Savoia (vedi Statuto Albertino), la Chiesa Valdese si sviluppò e diffuse nel resto della penisola italiana, raggiungendo oggi i 25.000 fedeli divisi in 120 congregazioni. Sempre a partire dalla metà dell’ottocento i valdesi, in cerca di migliori opportunità economiche, lasciarono le Alpi Cozie seguendo i flussi migratori italiani verso l’America Latina, dove oggi la comunità conta circa 13.000 membri divisi in 45 congregazioni, e gli Stati Uniti, dove migliaia di valdesi sono in seguito confluiti nella chiesa presbiteriana.