I saggi raccolti in questo volume ruotano attorno all'idea che la mostruosità sia l'altra faccia dell'utopia. Se la bellezza non può essere disgiunta dal marchio dell'oppressione e del dolore la deformità diviene la precognizione estetica dell'idea di conciliazione: il monstrum riacquista qui il senso originario che fonde in un'unica espressione la meraviglia e la forma orribile. La mostruosità è in tal senso ciò che Adorno chiamava logica della disgregazione un modo di dare un nome al nuovo al mai visto-udito-toccato. La sovversione dell'ordine trova la propria espressione solo nella forma aperta: le mutazioni zappiane e dickiane gli zombi di Romero e le creature di Nagai si fanno così espressione paradossale di una redenzione possibile della natura umana e nonumana.
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